Articolo di : Božica Jelušić
E' morto FRANJO VUJČEC (1935), pittore di Gola, uomo di spirito allegro e di buona volontà, la cui bicicletta, dama, fisarmonica e pennello erano una sorta di simbolo di Prekodravlje, Bobovec e una dozzina di altri) era davvero singolare nell' aspetto, modi, approccio alla vita e destino artistico. Suonava a feste, matrimoni e ricorrenze, come un "uomo d'orchestra", cantava ad alta voce , strizzava l'occhio alle nuore e alle ragazze, ma non si sposava, da vero amante della libertà e dell'ampiezza in tutto. Fedele alla madre di cui si prendeva cura, si è abituato alla sua cucina, alle conversazioni, ai gatti, alle galline, all'orto, al microcosmo Gola, dove la Drava segna il confine con il resto del mondo.
Se voleva una torta o uno stufato, una salsiccia o uno stufato di horgos, rispolverava la sua bicicletta oltre confine, tornando dall'Orsag ungherese felice come un gatto che avesse ingoiato di nascosto un canarino. Indossava camicie allegre, scarpe a punta, evitava gli occhiali di cui aveva bisogno e si circondava di molte cose di cui non conosceva il vero scopo. Era un buongustaio, un uomo testardo, piantato dalla sua parte, ma un amico su cui potevi contare come una rapa. Nella sua anima, si vedeva come un musicista, anche se non ha mai lasciato il pennello, dal 1959, quando si è presentato al pubblico dell'arte. Non contava affatto sulla fama artistica, trattando il suo dono in modo pragmatico e molto realistico.
E come ha dipinto Franjo Vujčec? Estremamente interessante, alla maniera di una sorta di finzione naif. Alberi enormi, piccole case, mistici cieli invernali grigio-azzurri, scene notturne e assolate, piene di alcune atmosfere lunatiche, luttuose come le ballate ungheresi e dell'Alta Croazia Dipinse i frutti del giardino e dei campi: peperoni, zucche, girasoli, in fiamme e colori infuocati, ounim delle energie vitali registrate nel pigmento. Pere dal collo lungo, giallo oro con punte sulla buccia e cielo azzurro sopra di loro, pane e arrosto per un pasto contadino, leccate in una pentola sulla finestra, galli nudi, nebbia autunnale, mezzanotte per Natale, un povero in un vecchio "capannone" trascurato pieno di attrezzi arrugginiti. Particolarmente belli e impressionanti erano i suoi inverni, le nevi fitte come pellicce polari, sotto le quali il mondo dell'antichità dormiva il suo secolare sogno immobile dell'eternità.
Chiunque abbia conosciuto Franjo Vujčec conosce un aneddoto spiritoso e divertente sulle sue esperienze. Purtroppo negli ultimi anni si è completamente ritirato in solitudine ed è morto da solo, nella sua casa e nella sua stanza, circondato da quadri che il pubblico non vedeva da tempo, è anche la sua modesta dimensione.
Tradotto s.e.&o. da Naive Art info
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