HRSTO HEGEDUŠIĆ

 



 

Catalogo della mostra antologica su HRSTO HEGEDUŠIĆ al Museo Civico di Bologna

dal 10 febbraio all' 11 marzo 1973



Introduzione:


Krsto Hegedušić è pittore di larga notorietà internazionale, certamente fra i più rappresentativi dell'arte jugoslava di questo secolo e maestro, in senso proprio, di almeno due generazioni di artisti del suo paese. Segretario e promotore del gruppo 'La Terra', nella vita del contadino oppresso cercò le forme prime della sua ispirazione e i motivi per recuperare all'arte contenuti rivoluzionari propri della tradizione di lotta della campagna croata. Si sa come questo gruppo, sciolto con provvedimento di polizia nel 1935, abbia saputo dare basi estetiche ed ideologiche alle tensioni sociali a cui l'arte jugoslava non è mai stata indifferente. Scrittore finissimo e teorico impegnato, Hegedušić pagò di persona attraverso persecuzioni ed arresti la scelta rivoluzionaria che si traduceva non soltanto nei modi dell'engagement artistico ma anche, e specialmente, in un fitto lavoro di promozione e di organizzazione della cultura a tutti i livelli. 


 

Basterà ricordare che fu, nel 1930, il fondatore di quella 'Scuola di Hlebine' attorno a cui fiorì la 'pittura contadina' che costituisce ancora oggi uno dei fenomeni di rilievo — anche se spesso non esente da fraintendimenti — del panorama artistico jugoslavo. La sua vasta cultura, maturata durante soggiorni e viaggi in Francia (a Parigi fu fra il 1926 e il 1928 con una borsa di studio del governo francese), Austria, Cecoslovacchia, Italia e Brasile, gli consentì di innestare sulla radice contadina delle sue origini i modi sottili e perfino sofisticati dell'avanguardia europea, dando ad essi singolare concretezza. Avviene così che nella sua pittura si fondono in rari equilibri le due anime della cultura jugoslava: quella contadina, appunto, con quel tanto di resistenza di tradizioni e di immediatezza che la contraddistingue, e quella mitteleuropea, complessa e oscuramente inquieta, tesa agli scompensi e alle suggestioni della realtà urbana: colta, in Hegedušić, nei suoi momenti di maggior contraddizione. 


 

Intendo dire che la sorte dell'individuo e della comunità resta sempre, nei suoi dipinti, come sospesa fra i poli dialettici di un dramma della partecipazione e di un presentimento d'assenza metafisica. La modernità di Hegedušić, e la fortuna critica che accompagna la sua opera non solo in Europa, deriva da questa straordinaria capacità di vivere le contraddizioni dell'uomo di oggi, da un lato profondamente sensibile al richiamo delle proprie tradizioni e all'ambiente, culturale e geografico, in cui si affonda la sua origine e, dall'altro, immerso nel vortice di un processo di livellamento e di massificazione che questa origine tende a negare. Tutto ciò è stato sottolineato dalla critica internazionale che di Hegedušić si è occupata, e mi sembra sia anche alla base della lettura non definitoria ma apertamente problematica che dell'opera del maestro fa in questo stesso catalogo Darko Schneider, uno studioso d'arte che partecipa e vive nell'atmosfera straordinaria dell'atelier Hegedušić di Zagabria, luogo ove si raccolgono in comunità di lavoro che non ha molti riscontri in Europa giovani artisti jugoslavi impegnati sui vari piani della ricerca estetica contemporanea e nella sperimentazione, anche la più arrischiata, delle tecniche e dei linguaggi d'avanguardia. Questa rassegna bolognese si propone quindi come uno dei momenti più alti del gemellaggio culturale con la città di Zagabria. In Italia l'opera di Krsto Hegedušić non è mai stata presentata secondo un intento organico, anche se alla critica del nostro paese non sono certo sfuggite le presenze del maestro di Petrinje fra il 1956 e il 1957 alla rassegna d'arte contemporanea allestita a Roma e a Milano e quella alla Biennale di Venezia del 1958. Per quanto riguarda Bologna si ricorderà il selezionatissimo gruppo di opere — fra le quali gli straordinari dipinti L'Ufficio dei morti e lustitia composti fra il 1932 e il 1933, negli anni cioè di maggior splendore del gruppo 'La Terra' e della 'Scuola di Hlebine' — che furono esposte nella sezione jugoslava della rassegna internazionale Arte e Resistenza in Europa allestita in queste stesse sale del Museo civico nel 1965. Ciò significa che la conoscenza dell'opera di Hegedušić si fonda — almeno per il largo pubblico — principalmente sulle composizioni appartenenti al periodo davvero eroico dell'arte di resistenza, mentre assai meno noti sono i dipinti del dopoguerra dove batte la vita della città vista secondo l'ottica quasi estraniante dell'Hegedu§id più 'metafisico' e allucinante. Un folto di veleni cromatici e di segni taglienti intesse l'immagine modernissima di ambienti, situazioni e personaggi di una realtà estraniante, di una umanità dimidiata e spesso 'mostruosa': questo è l'inquietante approdo all'attualità di una pittura che si fa carico dei motivi di una altissima civiltà figurativa, come sempre è avvenuto in Hegedušić. Questa tensione a fondere antico e moderno, a contaminare la realtà della vita con l'irrealtà dell'arte è una costante dell'opera del maestro jugoslavo, una caratteristica che colpisce e sconcerta come già sconcertò, nel lontano 1933, Miroslav Krleza che, in un saggio rimasto fondamentale e ricordato anche nel testo di Schneider, si trovò a verificare la quasi incredibile capacità di Hegedušić di riportare alla dimensione del 'tempo dell'immagine', e quindi all'attualità di poesia, i momenti di una cultura e di una storia in cui si incrociano senza contraddirsi — o con la sola contraddizione insita nel fare arte in un mondo che ne ha decretato la morte da tempo — gli atteggiamenti figurativi dei primitivi italiani e nordici giù giù fino agli assurdi Dada di George Grosz. 


Franco Solmi 






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